martedì 4 febbraio 2014

Gli hobby sono passati di moda. L'uomo di oggi lavora sempre


Il tempo libero
scompare
proprio quando
ne abbiamo di più

Aristotele aveva già capito tutto, osservando che “scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero”. Per secoli l’uomo ha cercato di liberarsi della fatica e avere sempre più tempo da dedicare al riposo. L’otium latino era qualcosa di più del dolce far niente, una raffinata occupazione intellettuale, non a caso riservata alle classi superiori, distinta dalla materialità del negotium (la gestione economica). 

A sancire una netta divisione tra tempo libero e tempo del lavoro è la società industrializzata che, in seguito all’introduzione della macchina, provvede a razionalizzare e dare ritmo all’attività umana, concentrando lo sforzo produttivo.

 Ma la separazione tra dovere e piacere, dove il lavoro ripetitivo, faticoso e insoddisfacente è slegato dall’aspetto ludico, spinge a desiderare maggiore spazio da dedicare allo svago e agli interessi personali. Le lotte sindacali per ottenere una diminuzione delle ore di lavoro, assieme allo sviluppo della tecnologia, hanno determinato l’aumento del tempo libero e di conseguenza il problema di come utilizzarlo. I regimi totalitari cercavano di contenerlo con la gestione del dopola­voro, preoccupati che il suo potere destabilizzante potesse causare problemi sociali, alimentare il lassismo e favorire l’eversione. E persino un “guru” della contestazione come Herbert Marcuse temeva che l’automazione potesse ri­baltare il rapporto fra tempo libero e tempo del lavoro, compromettendo “uno dei principali fattori di repressione imposti dal principio di realtà sul principio di piacere”. La prevalenza del loisir rompe quell’equilibrio oltre il quale si blocca lo sviluppo umano, “la prima delle condizioni preliminari della libertà” (Eros e civiltà, 1955). Col rischio di una regressione, visto che nella teoria freu­diana il “principio di realtà”, regolatore dell’azione umana, spinge ad accettare lo sforzo lavorativo con la promessa di una gratificazione futura. Ma il rinvio della gratificazione è proprio ciò che la società post-in­dustriale voleva evitare, offrendo una compensazione immediata nel con­sumismo. 

Come gli altri francofortesi, Adorno sperava in una trasformazione del Freizeit in Freiheit, cioè del tempo libero in libertà, sottraendolo alla pratica dell’hobby, un’apparente liberazione dal lavoro che costringeva l’uomo a svolgere attività preordinate dall’industria culturale.
In realtà è accaduto qualcosa d’imprevedibile: l’insostenibilità sociale di un loisir dilatato e incontrollabile, economicamente improduttivo, ha comportato il graduale inserimento del lavoro nel tempo libero. Tutto è divenuto lavoro, anche in presenza di attività finora considerate d’evasione: viaggiare, suonare uno strumento, leggere il giornale o un libro, conversare, fare sport o shopping. 
Nessuno più pratica un hobby: non è più di moda. E non per via delle critiche di Adorno, ma perché è venuta meno una delle caratteristiche fondamentali del tempo libero: la sua improduttività, l’assoluta inutilità, la sua natura oziosa e perditempo che ha carattere di gratuità. Inoltre ha assunto una funzione privata, rinunciando alla qualità collettiva della festa, chiudendosi nella sfera individuale o familiare.

Non c’è più differenza fra tempo libero e tempo del lavoro: fusi nella travolgente rapidità della vita odierna, annullati dall’ansia del vuoto che spinge a riempire ogni spazio della giornata, si confondono in un continuo assillante attivismo, condizionati dall’invadenza delle nuove tecnologie.
La smaterializzazione del lavoro e l’assunzione in prima persona di una serie di microattività che prima erano svolte da altri, nell’illusione di risparmiare e godere di maggior autonomia, hanno cancellato i confini di ciò che si fa per gli altri e ciò che si fa per sé. La grande innovazione (o la grande impostura, a seconda dei punti di vista) della società post-industriale è proprio quella di essere riuscita a unire otium e negotium, senza distinzioni sociali.
Gli apocalittici potrebbero obiettare che una società in cui non c’è differenza fra tempo libero e tempo del lavoro è oppressiva e falsamente democratica, esercita il controllo totale sugli individui con l’alibi di una libertà senza limiti.
Che l’homo ludens sia tornato e non abbia bisogno di imposizioni per lavorare è un’illusione rafforzata dalla tecnologia. Invece, senza saperlo, lavora anche quando si diverte, nella convinzione già propria di Schiller, che “l’uomo è interamente uomo solo quando gioca”.

da "La Lettura" de Il Corriere della Sera, domenica 2 febbraio 2014
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@CarloBordoni