venerdì 20 dicembre 2013

State of Crisis

Nuovo saggio di Bauman e Bordoni
da maggio in Gran Bretagna


La Polity Press di Cambridge (UK) annuncia la pubblicazione nel maggio 2014 del volume di Zygmunt Bauman e Carlo Bordoni, STATE OF CRISIS, pp. 180, € 18,90. ISBN: 978-0-7456-8095-8

Today we hear much talk of crisis and comparisons are often made with the Great Depression of the 1930s, but there is a crucial difference that sets our current malaise apart from the 1930s: today we no longer trust in the capacity of the state to resolve the crisis and to chart a new way forward. In our increasingly globalized world, states have been stripped of much of their power to shape the course of events. Many of our problems are globally produced but the volume of power at the disposal of individual nation-states is simply not sufficient to cope with the problems they face. This divorce between power and politics produces a new kind of paralysis. It undermines the political agency that is needed to tackle the crisis and it saps citizens’ belief that governments can deliver on their promises. The impotence of governments goes hand in hand with the growing cynicism and distrust of citizens. Hence the current crisis is at once a crisis of agency, a crisis of representative democracy and a crisis of the sovereignty of the state.

In this book the world-renowned sociologist Zygmunt Bauman and fellow traveller Carlo Bordoni explore the social and political dimensions of the current crisis. While this crisis has been greatly exacerbated by the turmoil following the financial crisis of 2007-8, Bauman and Bordoni argue that the crisis facing Western societies is rooted in a much more profound series of transformations that stretch back further in time and are producing long-lasting effects.

This highly original analysis of our current predicament by two of the world’s leading social thinkers will be of interest to a wide readership. 

Per maggiore info > vai al sito della Polity Press

martedì 10 dicembre 2013

Il capitale sociale

Viva il capitale sociale,
però debole


Oltre la crisi.

Sono i legami paritari e inclusivi che premiano il merito e assicurano il benessere generale. Invece quelli stretti, di tipo familiare, frenano la mobilità e perpetuano le disuguaglianze.
© Carlo Bordoni


Nuovo articolo su "La Lettura" del Corriere della Sera dell'8 dicembre 2013
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venerdì 15 novembre 2013

Streeck e l'Europa

Tempo guadagnato o tempo perduto?




Il destino dell’Europa passa attraverso le elezioni in Germania di domenica scorsa, che hanno confermato Angela Merkel alla guida della nazione predominante.
Non senza dubbi e violente critiche, come quelle rivolte dal sociologo tedesco Wolfgang Streeck, direttore del Max-Planck Institut di Koln, autore di Tempo guadagnato, recentemente edito da Feltrinelli e tradotto da Barbara Anceschi.
 
Streeck considera alcuni fattori negativi dell’economia, come l’inflazione, il deficit, la deregulation finanziaria come meri espedienti temporanei per rinviare a domani problemi altrimenti insolvibili. Il maggiore dei quali è senza dubbio il mantenimento delle garanzie democratiche e dell’integrazione sociale di fronte alla richiesta di un’economia di profitto.

Punta sul fattore “tempo” per spiegare l’inerzia del capitalismo, che finisce per sprecare il futuro degli individui in cambio di un tornaconto immediato.
In questo quadro convergono più risultanze, tra cui la privatizzazione in nome del progresso, del profitto e dell’efficienza; la sottrazione del capitale agli interessi nazionali e la sua “smaterializzazione” nei mercati finanziari; il crollo del “modello keynesiano” o, più in generale, dell’intervento pubblico nell’economia e la sua sostituzione col “modello hayekiano” (da Friedrich August Von Hayek, considerato il più autorevole avversario di Keynes, per le sue radicali teorie liberali). 

Ne deriva una diminuzione delle risorse: siamo relativamente più poveri di cinquant’anni fa, ma in compenso abbiamo più tecnologia a disposizione e comunichiamo con più facilità.
L’eterna lotta tra “capitalismo e democrazia”, come scriveva già Theodor W. Adorno, si trova attualmente in una fase di ascesa del capitalismo, almeno finché non cominceranno a farsi sentire le reazioni di parte democratica, tese a recuperare terreno nella riconquista di un difficile equilibrio.

Sta di fatto che l’attuale condizione di decrescita democratica è soprattutto dovuta alla crisi dello Stato, alla sua incapacità di porsi come deciso interlocutore della mediazione sociale, di regolatore dell’economia, di garante della sicurezza. Tanto che – ribadisce Streeck – le “società private di assicurazione hanno preso il posto dei partiti politici e dei governi come garanti della sicurezza sociale”.

da "Il Fatto Quotidiano" del 24 settembre 2013

Ricchezza di pochi

Bauman, Stiglitz
e la ricchezza
dei pochi



Parlare di accumulo di ricchezze in tempi di crisi può sembrare un controsenso. Eppure è proprio adesso che la forbice tra i ricchi e i poveri si allarga a dismisura. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Infatti solo coloro che hanno grandi disponibilità di denaro possono permettersi di comprare a buon prezzo da chi si trova in difficoltà e mettere a reddito, moltiplicando i guadagni a una velocità sempre maggiore.
La lunga crisi economica scoppiata nel 2008 e che imperversa a livello globale, ma di cui non si vede la fine, ha così prodotto una situazione che ha dell’incredibile: si calcola che l’1% della popolazione possiede il 90% delle ricchezze. Un problema non da poco, che ha risvolti preoccupanti dal punto di vista etico, politico e sociale.

Quasi in contemporanea sono usciti due libri che ne trattano da opposti punti di vista.
Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l’economia, lo osserva da liberista nel suo bestseller Il prezzo della disuguaglianza (Einaudi);  
Zygmunt Bauman, da sociologo, in una fulminante analisi dal titolo provocatorio, “La ricchezza di pochi avvantaggia tutti” Falso! (Laterza). Se Stiglitz appare disorientato dall’inattesa concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, tanto da tornare sull’argomento anche nel suo intervento sull’ultimo numero di Micromega, Bauman mantiene il tono di saggio osservatore dei fatti che confermano il crescente disagio di una modernità liquida, sempre meno a misura d’uomo.

È sorprendente come entrambi giungano alle stesse conclusioni, pur partendo da posizioni diverse. Il sociologo vi legge l’esasperazione delle differenze sociali, l’ingiustizia di un sistema, l’assenza di solidarietà, il fallimento del welfare. L’economista liberista si preoccupa della sproporzione eccessiva che squilibra l’assetto economico della concorrenza nel mercato globale. L’eccessiva concentrazione rischia di far saltare il sistema, perché non più in grado di offrire a tutti le medesime opportunità.
Bisogna correre ai ripari: non tanto per ragioni morali e sociali, come afferma Bauman, quanto per motivi economici. È necessario ridistribuire la ricchezza. Da secoli si parla di togliere ai ricchi per dare ai poveri. Ma su come farlo, da San Francesco a Marx, la discussione è ancora aperta.

da Il Fatto quotidiano del 27 marzo 2013

Dalla società solida alla società liquida

La nostra società
è la più insicura di sempre?
Cristiano Bosco intervista Carlo Bordoni per L'Opinione delle Libertà



L'11 Settembre. Il terremoto a L'Aquila. Lo tsunami in Giappone.
Immani tragedie, tra le maggiori catastrofi degli ultimi anni, le cui immagini vivono ancora nella memoria collettiva, e che, insieme ad altri analoghi eventi, fanno da sfondo a "La società insicura" (2012, Aliberti Editore), ultima fatica di Carlo Bordoni, sociologo, scrittore, giornalista.
Nella sua opera - arricchita da una conversazione inedita con Zygmunt Bauman - analizza il passaggio dalla società "solida" alla società "liquida". Un mondo nel quale, come recita il sottotitolo, non si può che convivere con la paura.

Come nasce l'idea di questo libro?
L'idea  è sorta dall'osservazione della realtà e della cronaca quotidiana, caratterizzate da una sequenza irrefrenabile di calamità: alluvioni, terremoti, tsunami, accompagnati anche da catastrofi legate al singolo individuo
Non esiste più un clima di sicurezza sul quale contare, non esistono più valori cui appigliarsi: l'individuo tende a sostituire la paura con l'indifferenza, che proviene dall'adattamento a una mutata condizione esistenziale.
Ho cercato di approfondire questo aspetto, con l'ausilio dei testi di Zygmunt Bauman.



Lei sostiene che l'insicurezza è ormai entrata a far parte integrante della nostra vita. Come è avvenuto questo fenomeno, quando ha iniziato a verificarsi?
È un fenomeno legato in maniera specifica all'ultimo periodo della storia contemporanea, il post-moderno, l'inizio di quella che Bauman ha definito "la società liquida": non ci sono più i grandi valori di un tempo a cui aggrapparsi, ed il comportamento umano si è modificato di conseguenza. Si vive una sorta di irresponsabilità collettiva, dove persino lo Stato, con la sua opera, non riesce più a garantire la sicurezza. C'è una sicurezza formale, l'adempimento di regole e norme, ma non effettiva. Non ci sono controlli preventivi, che permettano di evitare le catastrofi, si corre ai ripari quando è troppo tardi: a questo, purtroppo, ci siamo dovuti abituare. Paradossalmente, ai tempi della guerra, gli anni più terribili affrontati dall'umanità, c'era la speranza che il brutto periodo potesse finire e che le cose rientrassero presto nella normalità. A distanza di oltre sessant'anni, ci siamo resi conto che l'insicurezza non è temporanea, ma durerà sempre, e con essa si deve convivere.

Le società organizzate, i governi, hanno fallito nell'obiettivo di garantire la sicurezza?
Senza dubbio, poiché continuano a ragionare con un metodo superato e con logiche obsolete, che funzionavano nel passato, ma che ora vanno cambiate, adeguate alla realtà. Abbiamo raggiunto una conoscenza tecnologica e scientifica così vasta che ci permette di fare terribili danni senza porvi rimedio, se non troppo tardi. Non riusciamo a prevedere, né tantomeno a prevenire, le catastrofi, si fa troppo poco prima e si agisce solo a cose avvenute, salvo poi commettere nuovi errori, come ad esempio costruire e ricostruire nei luoghi più pericolosi, sulle rive di un fiume, sul mare, o alle pendici di un vulcano, come le case abusive sul Vesuvio che nessuno ha il coraggio di abbattere. Questo accade perché tendiamo a cancellare il male, il ricordo delle tragedie, così la vita può continuare: una falsa speranza verso il nostro futuro. È sempre troppo tardi, una gabbia dalla quale non riusciamo più a uscire, e non ci resta che sperare che i terremoti e le altre disgrazie non si verifichino nell'arco della nostra vita.

Che ruolo ha avuto l'evoluzione tecnologica - Internet, cellulari, social network - nella trasformazione della sicurezza della società?


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