venerdì 15 novembre 2013

Dalla società solida alla società liquida

La nostra società
è la più insicura di sempre?
Cristiano Bosco intervista Carlo Bordoni per L'Opinione delle Libertà



L'11 Settembre. Il terremoto a L'Aquila. Lo tsunami in Giappone.
Immani tragedie, tra le maggiori catastrofi degli ultimi anni, le cui immagini vivono ancora nella memoria collettiva, e che, insieme ad altri analoghi eventi, fanno da sfondo a "La società insicura" (2012, Aliberti Editore), ultima fatica di Carlo Bordoni, sociologo, scrittore, giornalista.
Nella sua opera - arricchita da una conversazione inedita con Zygmunt Bauman - analizza il passaggio dalla società "solida" alla società "liquida". Un mondo nel quale, come recita il sottotitolo, non si può che convivere con la paura.

Come nasce l'idea di questo libro?
L'idea  è sorta dall'osservazione della realtà e della cronaca quotidiana, caratterizzate da una sequenza irrefrenabile di calamità: alluvioni, terremoti, tsunami, accompagnati anche da catastrofi legate al singolo individuo
Non esiste più un clima di sicurezza sul quale contare, non esistono più valori cui appigliarsi: l'individuo tende a sostituire la paura con l'indifferenza, che proviene dall'adattamento a una mutata condizione esistenziale.
Ho cercato di approfondire questo aspetto, con l'ausilio dei testi di Zygmunt Bauman.



Lei sostiene che l'insicurezza è ormai entrata a far parte integrante della nostra vita. Come è avvenuto questo fenomeno, quando ha iniziato a verificarsi?
È un fenomeno legato in maniera specifica all'ultimo periodo della storia contemporanea, il post-moderno, l'inizio di quella che Bauman ha definito "la società liquida": non ci sono più i grandi valori di un tempo a cui aggrapparsi, ed il comportamento umano si è modificato di conseguenza. Si vive una sorta di irresponsabilità collettiva, dove persino lo Stato, con la sua opera, non riesce più a garantire la sicurezza. C'è una sicurezza formale, l'adempimento di regole e norme, ma non effettiva. Non ci sono controlli preventivi, che permettano di evitare le catastrofi, si corre ai ripari quando è troppo tardi: a questo, purtroppo, ci siamo dovuti abituare. Paradossalmente, ai tempi della guerra, gli anni più terribili affrontati dall'umanità, c'era la speranza che il brutto periodo potesse finire e che le cose rientrassero presto nella normalità. A distanza di oltre sessant'anni, ci siamo resi conto che l'insicurezza non è temporanea, ma durerà sempre, e con essa si deve convivere.

Le società organizzate, i governi, hanno fallito nell'obiettivo di garantire la sicurezza?
Senza dubbio, poiché continuano a ragionare con un metodo superato e con logiche obsolete, che funzionavano nel passato, ma che ora vanno cambiate, adeguate alla realtà. Abbiamo raggiunto una conoscenza tecnologica e scientifica così vasta che ci permette di fare terribili danni senza porvi rimedio, se non troppo tardi. Non riusciamo a prevedere, né tantomeno a prevenire, le catastrofi, si fa troppo poco prima e si agisce solo a cose avvenute, salvo poi commettere nuovi errori, come ad esempio costruire e ricostruire nei luoghi più pericolosi, sulle rive di un fiume, sul mare, o alle pendici di un vulcano, come le case abusive sul Vesuvio che nessuno ha il coraggio di abbattere. Questo accade perché tendiamo a cancellare il male, il ricordo delle tragedie, così la vita può continuare: una falsa speranza verso il nostro futuro. È sempre troppo tardi, una gabbia dalla quale non riusciamo più a uscire, e non ci resta che sperare che i terremoti e le altre disgrazie non si verifichino nell'arco della nostra vita.

Che ruolo ha avuto l'evoluzione tecnologica - Internet, cellulari, social network - nella trasformazione della sicurezza della società?


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