venerdì 15 novembre 2013

Proprietà privata e insicurezza



“La proprietà privata – scrive Robert Castel – rende inutile il sociale, inteso come l’insieme dei dispositivi che saranno attivati al fine dei compensare il deficit di risorse necessarie per vivere in società con i propri mezzi. Gli individui proprietari possono proteggersi da soli mobilitando le proprie risorse.”



E' ancora vero questo presupposto proprio della modernità?

Se la proprietà privata era posta alla base di un sistema di sicurezza sociale – rappresentando, come scriveva Charles Gide nel 1902, “una istituzione sociale che rende tutte le altre pressoché superflue” – ciò era dovuto alla “solidità” su cui la sicurezza si fondava. La casa, prima di tutto, luogo sicuro per eccellenza, in cui rinchiudersi per difendersi dai pericoli esterni, grazie alla materialità delle mura, delle porte, delle recinzioni, dei sistemi d’allarme, dei cani da guardia, dei vigilantes e, in ultima analisi, delle armi da fuoco.

La proprietà privata rappresenta, nella modernità, l’equivalente del borgo fortificato, con i suoi bastioni che segnano il confine tra il dentro e il fuori, tra il noto e l’ignoto, rafforzati dall’identità culturale che lega tutti i componenti della comunità.


L’emancipazione, il progresso economico e l’espansione su largo raggio degli scambi commerciali e culturali, hanno rotto i confini delle città murate, spingendo a fare della proprietà privata l’estremo baluardo individuale. Il borghese si costruisce da solo le sue difese, in campagna come in città, ed è supportato da uno Stato che ne riconosce la legittimità come diritto inalienabile.

L’equilibrio regge finché perdura la consuetudine di una vita familiare e lavorativa basata su una routine consolidata, su tempi lunghi e diritti acquisiti. Dove l’uomo ha uno status indiscutibile e s’identifica con la sua professione. Il luogo di lavoro e la propria casa sono entrambi punti fermi che garantiscono la sicurezza e  si possono trasferire alle generazioni future. La proprietà privata, assieme alla sicurezza materiale che ne deriva, è un bene duraturo e certo.
O, meglio, dovremmo dire “era”, al passato. Questo perché il progressivo passaggio della società solida a quella liquida (Bauman), ha modificato le cose. Ne ha stravolto le caratteristiche, mettendo in discussione l’idea stessa di sicurezza.

Le modalità dell’esistenza dell’individuo al tempo della società liquida sono sotto gli occhi di tutti. Un aspetto non marginale di tale mutamento, al di là delle conseguenze più evidenti che la liquefazione sociale ha prodotto, è la mobilità individuale. Non intendendo con questo né precarietà del posto di lavoro, né tantomeno l’attraversamento delle frontiere.

Mobilità individuale è qui intesa nel senso della drastica diminuzione della percentuale di tempo trascorsa all’interno della propria abitazione o nei luoghi di lavoro. Oggi la casa non è un rifugio, ma il luogo in cui dormire, consumare pasti, ricevere gli amici e conservare le proprie cose. Più una base di partenza e una sorta di albergo personale, in cui cambiarsi e riposare, per poi riprendere il cammino lungo le vie del mondo. La vita si svolge altrove. È tutta proiettata all’esterno.

Si esce di casa più spesso, si mantengono molteplici rapporti sociali, costruendone di nuovi, anche se non duraturi. Ma vivere fuori casa e viaggiare, oltre che a contraddire i principi ricordati da Robert Castel, espone a rischi più elevati.

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